A volte penso, e so di aver ragione, di essere stato fortunato. Tanti conoscenti, qualche amico.
La Donna è la persona che apprezzo e stimo più d'ogni altra persona. La amo anche, ma viene dopo i primi due.
Quando ho iniziato l'Università qui a Pavia, la mia "classe", il tot di persone che erano matricole come me, che seguivano le lezioni che avevo io, che all'inizio frequentavano.....erano tanti, tantissimi: 150.
Il secondo giorno di Università (il primo di lezione in pratica) ho conosciuto uno dei due miei migliori amici ( o forse tre...ma la distanza e l'età non può dirlo) che sento e vedo ancora adesso.
Ho conosciuto un gruppetto di persone. Uscivo anche con un gruppetto di persone. Ho fatto anche il brillante (cosa che davvero non faccio mai, perché mi stanno sulle balle i brillanti) una volta.
E poi puff.
Poche lezioni. Esami. E via il primo anno.
Nienze lezioni. "niente" esami. E via il secondo anno.
Un periodo dove si è toccato il fondo in troppi sensi.
Ricordo del terzo anno un aneddoto; stavo tornando in macchina con due colleghe (c'era il barlume
di una possibile integrazione ritardata con i miei colleghi ) quando quella che guidava, mi guarda nello specchietto, e mi fa: "Ma te sei di CIM? Non ti ho mai visto".
Io si. Io vi conosco tutti. Ad uno ad uno.
Vivere l'esperienza di un esame con persone del "nuovo ordinamento" e tu del "vecchio", ti da ancora più anni di quanti non ne dovresti avere. Ieri ho dato un esame del mio primo anno con colleghe al loro primo anno (qualcuna al suo primo esame). Mi sentivo un vecchio.
E' da questi due aneddoti che ripartirò.
E' dagli anni persi e riconquistati che ricomincerò.
Di solito si dovrebbe dire - ciò che non t'uccide ti rende più forte -
A me nessuno m'ha colpito. Nessuno s'è permesso di uccidermi.
Si limitano a farmi ridere. Risate su risate.
C'è chi è arrivato a dire perfino che non scrivo più. E' vero. Non scrivo più per l'infelicità, per la "sofferenza" o per ciò che magari riusciva a tirarmi su.
Io sono su. Io sono felice.
E adesso, è arrivata l'ora dell'ironia, della "rabbia", del sarcasmo.
Sentir cinguettare, pigolare o, come si dice dalle mie parti, tossire (pur i pulici tenan a tussa - pure i pulcini hanno la tosse - pure chi non potrebbe si permette di parlare) più che aumentare il sapore di, come dire, amarezza (quella di quando assisti a spettacoli ridicoli) non fa.
E allora sapete che vi dico? Evviva l'autogestione. Evviva la consapevolezza anti-illusione.
Meglio capirle presto le cose, i rapporti, le amicizie, che illudersi fino a quando non è troppo tardi.
Salgo, scendo, interminabili corsie il colle condanna la vista.
Orizzonti screpolati intermittenze tra le nubi, oltre il mare una barca a vela spiagge di inutili turisti.
Godetevi la spuma nascondete i rastrelli tanto, dei vostri castelli, ho già fatto a pezzi la sabbia.
Embè, ati vist arill ... mi vena cchiama, mi parra, e mi ricia ca ghill un po ghesciar picchi sta sturiann.
Ncapu internet a parrar, accussi sta sturiann.
Chi ti nni frica a tia tantu. A gent sta appriass a tia.
Un c'ha capit nent. Ghia a carta mia a tiagn lluacu.
Va till'accatta sulu, cuju.
All'inizio, e fino a qualche tempo fa era così.. un tunnel appena intrapreso, o un corridoio che nonostante i passi avanti (salvo i passi indietro che ognuno di noi fa, inevitabilmente) sembrasse non condurre mai ad una fine...
Adesso, finalmente, si intravede una luce.
Si intravede un barlume, uno sfondo differente, una fine a
questo percorso, a questo corridoio, a questo tunnel.
Ringrazio i miei genitori, e "ogni tanto" anche qualcun altro (lassù; ammetto di essere tra quelli che se ne ricordano sporadicamente ) di non avermi fatto nè ipocrita nè falso, senonché d'avermi fatto tanto ingenuo.
Quando vedo, leggo di certi atteggiamenti ormai non mi viene più neanche da ridere.
Volano coriandoli come aria quando soffia il doppio fine d'un finto pregio.
Scivola lo zigomo piange il labbro, e manca poco che il bicchiere non scivoli; basso profilo, signori.
Ma dove, dove credete d'andare, o vecchia pelle candele accese sul ridicolo cospargersi di cera.
Compatisco, al nebbiume cedo il passo, piuttosto rido, che di disgusto non vomiti cattiveria.
E' un tempo fasullo, dove è concesso dare immagine a chi della propria se non la teme, è perché ne ha, già ammazzato un'altra.